Tre fallacie logiche dell'attivismo pro-prostituzione


Il mito sex work is work è sostenuto da una serie di ragionamenti maturati nell'ambiente accademico da parte studenti che organizzano dibattiti sul commercio sessuale all'interno delle università. Va detto, a onor del vero, che tali discussioni sono quasi sempre a favore dell'industria del sesso. Il nostro progetto ha avuto modo di interagire con questa realtà. Abbiamo avuto vari confronti con studenti di diverse facoltà che, naturalmente, hanno arricchito il nostro bagaglio culturale su questo tipo di attivismo e dato la possibilità di analizzare le loro motivazioni a sostegno della prostituzione. Prima di analizzare tre di quelle che riteniamo fallacie logiche, è giusto chiarire che queste persone usano l'espressione sex work per includere più soggettività, molte delle quali incompatibili con la compravendita di prestazioni sessuali ("cam girls", ragazze che vendono foto di nudo su internet o partecipano alle cosiddette "telefonate erotiche", receptionist dei bordelli, commesse/i dei sexy shop ecc). 

1. "Il sex work può anche non piacere, come all'operaio non piace entrare in fabbrica alle 7:30 del mattino." 

Quando non c'è una predisposizione ad avere rapporti sessuali, una forzatura affinché avvengano costituisce il reato di violenza sessuale. L'operaio/a che detesta il lavoro in fabbrica non deve né praticare fellatio, né temere una penetrazione da parte del capo, né subire palpeggiamenti e molestie sessuali. Se si riconosce la prostituzione come un lavoro qualunque, allora la violenza sessuale può avere diversi parametri sulla base della sua monetizzazione. Per anni abbiamo lottato perché il "sesso che non piace" venisse riconosciuto come stupro, ed ora, paradossalmente, ci viene detto che può essere parte di una comune giornata lavorativa. 

2. "Il sex work è un'attività come un'altra, con specifiche mansioni che a volte non ha voglia di eseguire." 

Qualche anno fa, in Svezia, è stata approvata una legge che riconosce come violenza sessuale la mancata interruzione di un rapporto sessuale laddove la/il partner dica di voler smettere. Riconoscendo la prostituzione come un'attività qualunque, la persona prostituita che interrompe la prestazione può essere tranquillamente paragonata al parrucchiere che smette di applicare una tinta sui capelli di un cliente, lasciandolo insoddisfatto. La differenza tra il parrucchiere e la persona prostituita, però, è che se il primo non subisce alcun tipo di trauma nel terminare l'applicazione della tinta, la seconda subisce uno stupro, che di traumi ne causa - e non pochi. La monetizzazione del sesso consente di reinterpretare in chiave di lettura diversa due cose perfettamente uguali. 

3. "Il sex work mette in discussione il rapporto coniugale fallocentrico e patriarcale tra donna e uomo, perché la sex worker fa capire all'uomo che ora deve pagarla, che non è più disposta a farlo gratuitamente."

Considerato il fatto che la donna prostituita deve pagare le tasse, l'affitto (oppure il mutuo), il cibo, l'acqua ecc, e tenuta in considerazione anche la consapevolezza che la donna casalinga si assicurava un tetto sulla testa nella piena sottomissione ai cosiddetti doveri coniugali (purtroppo succede ancora oggi), la donna prostituita fa la stessa cosa, con la sola differenza che dipende economicamente da più mariti. Il fatto di non essere sposata con loro non cambia niente, dal momento che la dinamica del rapporto è la stessa della casalinga. 
Il "rapporto sessuale" tra il compratore e la donna prostituita è fallocentrico, basato sul piacere e l'appagamento dell'uomo. Il linguaggio degli acquirenti di sesso è ricco di sigle ed espressioni quali "rai1", "rai2", "buco sfondato", "gliel'ho sfondata", "gliel'ho sbattuto dentro". La donna prostituita viene ridotta letteralmente ad un buco nel quale l'acquirente può masturbarsi, esattamente come fa il marito patriarca. In questo tipo di rapporto, diverso da quello coniugale soltanto per l'assenza del contratto matrimoniale, viene alimentato il mito dei preliminari e del coito come destino biologico, confinando così la sessualità femminile nella visione patriarcale della donna come canale per il piacere maschile. 

Ci sono altre fallacie logiche dell'attivismo pro-prostituzione, ma preferiamo analizzarle in separata sede. Sarebbero sufficienti queste tre per dimostrare tutta la vacuità della retorica del mito del sex work. Distorcere la realtà perché possa essere divisa in due parti, una per la quale ti batti anche tu (la lotta contro la misoginia e la violenza sessuale) ed un'altra (la prostituzione) che può essere considerata un lavoro, trova appoggio soltanto nella monetizzazione. Ma, sia dal punto di vista logico che da quello umano, non esistono argomentazioni che reggano. 

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